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LA NATURA GIURIDICA CANONICA
DEL GRAN MAGISTERO COSTANTINIANO
E CONSEGUENZE SULL ATTUALE DISPUTA

© Alfonso Marini Dettina
Dottore in Giurisprudenza, Juris Canonici Doctor, Avvocato.

1. Natura giuridica dell Ordine Costantiniano e del suo Gran Magistero.

Il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio è un Ordine religioso-cavalleresco che la tradizione vuole fondato nel secolo IV dall Imperatore Costantino il Grande; suo supremo ufficio è il Gran Magistero, già oggetto di dispute in passato, ed oggi conteso tra due membri della Real Casa di Borbone. Essendo il Gran Magistero riservato, per concessione della Santa Sede, al primogenito farnesiano, l Ordine viene qualificato anche familiare.

L Ordine Costantiniano, con il tempo e l approvazione pontificia acquisì i caratteri di una Milizia religiosa riconosciuta come Religione. I Cavalieri potevano pronunciare la propria professione nell'Ordine emettendo dei voti approvati dalla Chiesa, quali il Voto di Ubbidienza, il Voto di osservare i comandi della Chiesa Cattolica, il Voto di difesa delle Vedove, dei Pupilli, delle Persone miserabili, il Voto di Castità coniugale, ovvero voto di non passare a seconde nozze, il Voto di Umiltà, il Voto di Carità, oltre ad altri voti particolari.

Nel secolo XVIII questa caratteristica fece ritenere l'Ordine Costantiniano un Ordine Religioso in senso lato o non rigorosamente Religioso, richiedendo gli Ordini rigorosamente Religiosi la professione dei tre Consigli Evangelici di Castità, Povertà, Ubbidienza [1]. Fino alla prima metà del secolo XX l'Ordine Costantiniano annoverava Cavalieri professi che emettevano i Voti di Ubbidienza, di Difesa e Promozione della Religione Cattolica, di Carità verso il prossimo, di Castità nei diversi stati. La possibilità per il Cavaliere di emettere la propria professione nell'Ordine Costantiniano è ancor oggi garantita da provvedimenti pontifici mai revocati né contrastanti con altri successivi.

Il Codex Iuris Canonici del 1983 tace riguardo agli Ordini Cavallereschi religiosi o legati in qualche modo alla Santa Sede. Ciò ha generato numerosi dubbi dottrinali circa l'individuazione della attuale natura giuridica degli stessi. Per tali Ordini vige innanzitutto il diritto particolare (Statuti), cui rimanda il Codex Iuris Canonici per la disciplina interna delle persone giuridiche ecclesiastiche. Quale insieme di persone e di cose ordinato ad un fine corrispondente alla missione della Chiesa e dalla stessa approvato, l'Ordine Costantiniano possiede, infatti, i caratteri delle persone giuridiche ecclesiastiche, in passato anche dette persone morali, enti giuridici, corpi morali, personae canonicae, definite dal Canone 114 Codex Iuris Canonici 1983 "universitates sive personarum sive rerum in finem missioni Ecclesiae congruentem, qui singulorum finem trascendit, ordinatae".

Per tutto ciò che non è regolato dal diritto particolare ci si dovrà attenere alle norme del diritto universale, comprendente ogni fonte del diritto canonico, principalmente il Codex, e dunque considerare i canoni concernenti le persone giuridiche ecclesiastiche (Lib. I, Titolo V, VI, Cap. II, cc 113-123), quelli sulle associazioni di fedeli (Lib. II, Titolo V, cc 298-329), quelli sugli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (Lib. II, Par. III, cc 573-746), come i canoni relativi agli uffici ecclesiastici (Lib. I, Titolo IX, cc 145-196). Gli elementi raccolti permettono di ascrivere il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio al genere oggi denominato persone giuridiche ecclesiastiche private, con i caratteri di una associazione privata di fedeli e quelli di un Ordine Religioso.

Per individuare la natura giuridica del Gran Magistero Costantiniano è necessario considerare la natura religioso-cavalleresca dell'Ordine ed esaminare gli Statuti approvati dalla Santa Sede, i documenti pontifici relativi all'Ordine, le sentenze emanate, i diplomi di nomina dei cavalieri, il contegno sempre tenuto dai Gran Maestri. La Sentenza emanata il 15 luglio 1597 dal Giudice Don Carlo Cappello, Luogotenente Criminale dell Auditore Generale della Camera Apostolica, che confermò i diritti del Principe Don Giovanni Andrea Angelo Flavio, definisce il Gran Magistero Costantiniano un ufficio [2].

Nei diplomi di nomina a Cavaliere dell'Ordine della seconda metà del secolo XVII il Gran Maestro Angelo Maria Angelo Flavio Comneno è chiamato "Moderator Supremus", espressione uguale a quella utilizzata ancor oggi in diritto canonico relativamente all'ufficio di Superiore generale degli Istituti Religiosi [3]. Gli Statuti decretati dal Gran Maestro il Duca Francesco Farnese il 23 maggio 1705, e approvati dalla Santa Sede il 12 luglio 1706, al Cap. II stabiliscono "alcune cose, che riguardano l'ufficio di Gran Maestro" [4].

Allo stesso modo i documenti pontifici definiscono il Gran Magistero del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio un ufficio: S.S. Papa Innocenzo XII, nel Breve Sincerae fidei del 24 ottobre 1699, e S.S. Papa Clemente XI nella Bolla Militantis Ecclesiae del 27 maggio 1718 parlano di "Officium, seu munus Magni Magistri seu perpetui Administratoris". Munus, nel senso di ufficio o incarico, indica anche il complesso di attribuzioni e compiti integrante uno degli elementi essenziali dell'officium ecclesiastico. Al Gran Maestro la Bolla Militantis Ecclesiae concesse anche la potestà esclusiva di giurisdizione spirituale e temporale sui beni dell'Ordine e sugli individui ad esso appartenenti.

Nel 1923 l Avvocato Ardizzoni, Giudice del Tribunale di Napoli e membro della Deputazione dell Ordine, notò che nel Breve e nella Bolla suddetti, i Pontefici, in confronto alla pienezza della propria sovranità sull Ordine Costantiniano, definiscono semplice Officium la dignità del Gran Maestro appellando Costui, Administrator e stabilendo così la proporzione: Il Pontefice sta al Gran Maestro come la plenitudo Apostolicae potestatis sta a officium seu Administrator Militiate Auratae Constantinianae [5].

Gli Statuti approvati dalla Santa Sede configurano il Gran Magistero come ufficio istituito stabilmente. Lo stesso carattere sacro dell'Ordine, richiamato nella sua denominazione e reso concreto nei suoi Statuti e nella sua attività, indica la finalità del Gran Magistero, che è il perseguimento della salus animarum per cui la Chiesa è fondata. Tutti gli elementi sopra evidenziati permettono, di qualificare l'ufficio di Gran Maestro del S. M. Ordine Costantiniano di San Giorgio come ecclesiastico di erezione pontificia.

E' infatti ufficio ecclesiastico qualunque incarico, costituito stabilmente per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale: per il canone 145, § 1, Codex Iuris Canonici 1983, "Officium ecclesiasticum est quodlibet munus ordinatione sive divina sive ecclesiastica stabiliter constitutum in finem spiritualem exercendum". La definizione attuale di ufficio ecclesiastico è ispirata e trae elementi sia dalla codificazione del 1917 che a sua volta attinse dalla legislazione precedente (per la quale proprium officium habere dicuntur, qui certo addicti sunt muneri [6]), sia dal Decreto conciliare Presbyterorum Ordinis [7].

Si tratta, inoltre, di un ufficio ecclesiastico di erezione pontificia che, non necessitando della ordinatio in sacris, è stato sempre tenuto da un laico battezzato, anche coniugato, cosa certo non frequente nei secoli scorsi, ma legittima, conseguenza del tipo di ufficio e dell'autorità che lo conferiva [8].

2. La successione per primogenitura.

Il Gran Magistero Costantiniano ordinariamente fu sempre trasmesso in ragione della primogenitura al figlio maschio primogenito del Gran Maestro defunto, o, mancando la discendenza diretta, al maschio per nascita più vicino al defunto, e ciò a prescindere dalla titolarità dei diritti dinastici delle Famiglie che ressero l Ordine. Il principio della successione per primogenitura nell ufficio di Gran Maestro, oltre ad essere sancito dai Sommi Pontefici, venne codificato nei vari Statuti che regolarono la vita dell Ordine Costantiniano (da quelli del 1190 a quelli farnesiani del 1705, a quelli del 1934 ecc.) ed è tutt ora vigente.

Nel 1816 Maria Luigia d Asburgo, Arciduchessa d'Austria e Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, pretendendo il Gran Magistero legato alla sovranità sul Ducato di Parma e Piacenza, si proclamò Gran Maestro dell Ordine Costantiniano. Questo Ordine parmense finì per esser tollerato come nuovo dai Borboni Due Sicilie per la sua natura peculiarmente statuale.

Il Gran Magistero Costantiniano, con l'approvazione della Santa Sede espressa in molteplici documenti pontifici che, di fatto, e di diritto sconfessarono le pretese dell Ordine creato a Parma, continuò ad esser tenuto, dopo la morte nel 1825 del Gran Maestro S.M. Ferdinando I, Re del Regno delle Due Sicilie, dai primogeniti della Famiglia Borbone jure sanguinis, nelle persone di S.M. il Re Francesco I (1825-1830), di S.M. il Re Ferdinando II (1830-1859), di S.M. il Re Francesco II (1859-1894), di S.A.R. il Principe Don Alfonso, Conte di Caserta (1841-1934).

3. L attuale disputa.

L attuale disputa relativa al Gran Magistero origina da una scissione dell Ordine avvenuta nel 1960, quando si estinse nei maschi la linea del Gran Maestro S.A.R. il Principe Don Ferdinando Pio, Capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, primogenito dei dieci figli di S.A.R. il Principe Don Alfonso, Conte di Caserta. Allora la successione nei diritti dinastici della Real Casa di Borbone Due Sicilie e nel Gran Magistero dell Ordine Costantiniano venne rivendicata dall erede maschio jure sanguinis più vicino al defunto, S.A.R. l Infante di Spagna Principe Don Alfonso (1901-1964), figlio orfano di S.A.R. l Infante di Spagna Principe Don Carlo (1870-1949), secondogenito del Conte di Caserta.

Si oppose tuttavia S.A.R. il Principe Don Ranieri (1883-1973), maschio quintogenito del Conte di Caserta. Egli rivendicò su di sé gli stessi diritti già vantati dal nipote sostenendo che la successione nei diritti della estinta linea primogenita avrebbe dovuto saltare le due linee precedenti la propria in quanto quella secondogenita ne sarebbe stata esclusa per rinuncia nel 1900, mentre le linee terzogenita e quartogenia si erano estinte. S.A.R. il Principe Don Ranieri (dal quale origina il ramo o Ordine cosiddetto Napoletano ) pretendeva la validità del cosiddetto Atto di Cannes del 1900, una scrittura privata non autenticata, di rinuncia da parte del secondogenito del Conte di Caserta, S.A.R. il Principe Don Carlo ad ogni diritto e ragione alla eventuale successione alla Corona delle Due Sicilie ed a tutti i Beni della Real Casa trovantisi in Italia ed altrove , formula nella quale il quartogenito riteneva implicitamente compreso il Gran Magistero Costantiniano. S.A.R. l Infante di Spagna Principe Don Alfonso impugnò la pretesa rinuncia attribuita al padre, ritenendola nulla e inefficace. Alla morte di S.A.R. Don Alfonso, nel 1964, il figlio S.A.R. il Principe Don Carlos assunse quindi la dignità di Capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie e l ufficio di Gran Maestro del S. M. Ordine Costantiniano di San Giorgio.

L'Atto di Cannes del 1900, essendo in sostanza la rinuncia di un figlio alla futura eredità del padre ancora in vita, si configura come un esempio classico di patto successorio. L indagine sull Atto in esame deve partire dall individuazione del diritto vigente nel 1900, applicabile alla fattispecie secondo il principio tempus regit actum. Il divieto dei patti successori, già presente nel diritto romano, era nelle legislazioni francese e italiana vigenti nel 1900 una delle regole fondamentali in materia successoria ed uno dei fondamentali principi di ordine pubblico interno (viventis non datur hereditas).

Come oggi, anche nel 1900 i patti successori erano considerati nulli, invalidi, inefficaci, perché ritenuti immorali; il legislatore ha voluto da un lato evitare l'immoralità di creare un'aspettativa, nascente da contratto, della morte altrui (votum captandae mortis, o corvinum), e dall'altro ha voluto ribadire e tutelare quella piena libertà di disporre che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della sua morte (ambulatoria est voluntas testantis usque ad vitae supremum exitum), anche censurando la tentazione di spogliarsi di un diritto futuro per ottenere un vantaggio immediato pur se inadeguato.

Il divieto dei patti successori rientrava e rientra, nei rispettivi ordinamenti interni francese e italiano, tra le norme cosiddette ad applicazione necessaria. E' un principio di diritto comune, presente nel diritto francese e nel diritto italiano e accolto perfino dall'ordinamento canonico mediante il rinvio alle leggi civili degli Stati, che le leggi riguardanti l'ordine pubblico obbligano inderogabilmente tutti i presenti sul territorio ove vigono. In quanto norma inderogabile di ordine pubblico, il divieto dei patti successori rilevava sia per il diritto privato che per il diritto pubblico [9].

Dunque l'atto posto in essere a Cannes in violazione di una norma francese di ordine pubblico verrebbe ad essere regolato dal diritto francese vigente nel 1900 con l esclusione di qualsivoglia richiamo ad altro diritto, e, come detto, la legislazione francese vietava i patti successori considerandoli nulli; la giurisprudenza, poi, insistendo particolarmente sul carattere di ordine pubblico della devoluzione successoria, ha sempre applicato in modo rigido il divieto dei patti successori dichiarando nulla ogni convenzione che avesse avuto ad oggetto un bene facente parte di una futura eredità o che avesse potuto avere l'effetto di bouleverser l'ordre successif.

Il divieto dei patti successori, per la loro contrarietà all ordine pubblico, era contemplato non solo dal diritto francese, ma anche dal diritto italiano e da quello dell estinto Regno delle Due Sicilie al cui diritto l Atto di Cannes del 1900 fa espresso quanto inefficace rinvio. Anche le consuetudini familiari della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie escludono l'efficacia della "rinuncia" formulata a Cannes.

L Atto di Cannes, ad ogni modo, difetta di tutti i requisiti essenziali per la validità di una obbligazione richiesti dal diritto francese, italiano e del Regno delle Due Sicilie; la sua nullità è certa e insanabile. La pretesa "rinuncia" di S.A.R. Don Carlo scaturì da errore e da violenza per le pressioni dell'opinione pubblica e di gruppi politici ostili a suo padre il Conte di Caserta, a causa dei suoi trascorsi carlisti, e stilata in base all'erronea presunzione dell'incompatibilità del proprio futuro status con quanto previsto dalla Prammatica di Re Carlo del 6 ottobre 1759. La Prammatica del 1759 regolava esclusivamente la successione alla Corona delle Due Sicilie (l'Ordine Costantiniano non è nemmeno menzionato). La cessione del Gran Magistero dell'Ordine Costantiniano, come scrisse l'11 dicembre di quell'anno il Ministro Bernardo Tanucci ai Cavalieri dell'Ordine, venne decisa con un solenne distinto atto successivo e, a differenza della Prammatica, espressamente esecutivo del diritto di "primogenito legittimo Farnesiano", posto in essere dal Gran Maestro il quale, pur non essendo più Re delle Due Sicilie, bensì Re di Spagna, continuò a tenere la suprema Magistratura dell'Ordine senza soffrire alcun tipo di incompatibilità [10].

Peraltro la Prammatica, esecutiva del Trattato di Napoli del 3 ottobre 1759, non aveva più efficacia nel 1900 per il radicale mutatamento dello status quo (nel diritto internazionale "pacta sunt servanda", ma solo "rebus sic stantibus" ). Lo stesso Re Ferdinando IV nel Real Dispaccio dell'8 marzo 1796, esplicativo degli Statuti, ribadì "che nella sua Sacra Real Persona concorrono due ben distinte qualità, l'una di Monarca delle due Sicilie, e l'altra di Gran Maestro dell'inclito, reale e militare ordine costantiniano, le quali benché gloriosamente si uniscono in se stesso, formano nondimeno le medesime due diverse Signorie indipendenti, e per leggi, e per le prerogative, e per i privilegi, e soprattutto per la giurisdizione; tanto che i predecessori Gran Maestri di tal Ordine han formato un Codice di Costituzioni denominato Statuti...". Nel 1877 l'Avvocato Giuseppe Castrone, nel commentare il Real Dispaccio suddetto, evidenziava che "la Signoria costantiniana ... non era un diritto della Corona, ma vi si trovava unito per la unità della persona investita dell'uno e dell'altro, senza però confondere le due persone morali che nella unità fisica si cumulavano" [11].

Quanto sopra confuta il tentativo di superare il difetto di una specifica rinuncia al Gran Magistero nell Atto di Cannes con una pretesa unione personale del Trono e del Gran Magistero [12] (in tal senso appare la modifica del 1965 agli Statuti dell Ordine cosiddetto Napoletano che ancora il Gran Magistero, anziché alla primogenitura farnesiana, alla qualità di Capo della Reale Casa di Borbone delle Due Sicilie ). Infatti, il predetto Real Dispaccio di S.M. Re Ferdinando IV aveva ben chiarito che l eventuale concorrenza in un'unica persona della qualità di Monarca e di Gran Maestro era da considerarsi puramente occasionale essendo distinti i titoli di successione [13].

Nel concetto di "bene" di cui al patto successorio rinunciativo nullo di Cannes non rientra l'Ordine Costantiniano che è una persona giuridica ecclesiastica, né il suo Gran Magistero che è un ufficio ecclesiastico, e nemmeno la dignità di Capo della Real Casa che non è patrimonialmente apprezzabile né disponibile o rinunciabile. In ogni caso S.A.R. Don Carlo conservò intatti i propri diritti e le proprie ragioni sull'eventuale Corona del Regno delle Due Sicilie (sorto nel 1816 dalla fusione delle Due Sicilie, cioè dei Regni di Napoli e di Sicilia) che nella "rinuncia" di Cannes non è oggettivamente contemplato. Tale "rinuncia", infatti, parla solo di "eventuale successione alla Corona delle Due Sicilie"; ne restavano fuori tutti i diritti peculiarmente legati alla Corona del Regno delle Due Sicilie, a cominciare dai titoli di Duca di Calabria e di Duca di Noto creati dal primo Re del Regno delle Due Sicilie, Ferdinando I, rispettivamente per il primogenito erede al Trono e per il primogenito di quest'ultimo.

L Atto di Cannes del 1900, patto successorio radicalmente invalido, aveva forma di rinuncia ad efficacia sospesa perché condizionata ad eventi futuri ed incerti. Contrariamente a quanto sostenuto da altri, secondo cui l Atto di Cannes non contiene condizioni né espresse né tacite di validità [14], l analisi testuale rivela sia le une che le altre; per tale ragione, infatti, nell Atto di Cannes è previsto che lo stesso sarà provvisoriamente conservato negli Archivi della Nostra Real Casa per valere all occorrenza .

Prima condizione dell Atto è il matrimonio di S.A.R. il Principe Don Carlo, condizione che già da sola rende nullo l Atto per le specifiche norme francesi, italiane (ma perfino napoletane) che rafforzavano il divieto per i patti successori posti in essere in previsione di un matrimonio. Seguono le altre tre condizioni essenziali sospensive della validità della rinuncia, condizioni mai realizzatesi: che S.A.R. Don Carlo fosse divenuto Re di Spagna; che, in concomitanza, fossero risorti i Regni di Napoli e di Sicilia (le Due Sicilie); che la relativa Corona fosse offerta proprio a S.A.R. Don Carlo (e non ad altri).

Quanto sopra spiega perché la rinuncia invalida di Cannes, affetta da nullità ex tunc, non ebbe comunque mai alcun effetto né di fatto né di diritto. La nullità del patto successorio colpisce di consegueza anche tutti quegli atti che intendono dargli attuazione: un successivo testamento di cui il patto sia il presupposto sarà nullo per illiceità, dovuta al contrasto con l'ordine pubblico, perché illecito sarebbe il motivo rappresentato dal proposito di rispettare il patto [15]. Questa sarebbe la sorte del testamento e/o codicillo/i olografi di S.A.R. Don Alfonso Conte di Caserta (+ 1934), dei quali si parlò nel 1961, riprodotti solo in parte nel 2002, ove, si disse, il testatore avrebbe escluso il figlio S.A.R. Don Carlo dalla successione dei propri beni siti in Caprarola per il fatto che quest'ultimo aveva rinunciato a tale eredità [16]. Per la cronaca, disattendendo sia il contenuto del patto successorio di Cannes del 1900, che il testamento e/o codicillo esecutivi dello stesso, atti affetti da nullità, tutti i figli di S.A.R. il Conte di Caserta successero al padre e l'indennizzo ottenuto nel 1941 dallo Stato Italiano per i Beni di Caprarola, ma anche gli oneri legali per la transazione delle cause pendenti con i Ministeri del Tesoro e delle Finanze, vennero pacificamente divisi tra questi, compreso S.A.R. l Infante di Spagna Don Carlo. Quest ultimo, si noti, nel carteggio della transazione (1940-1943) conservato presso l Archivio Centrale dello Stato a Roma, è qualificato dallo Stato Italiano come Principe Reale di Casa Borbone Due Sicilie ed Erede del Conte di Caserta, e come tale considerato da fratelli e sorelle [17].

I fatti e documenti suddetti confutano l affermazione secondo cui S.A.R. l Infante di Spagna Don Carlo avrebbe rinunciato all eredità del padre anche in occasione della puntuale esecuzione delle disposizioni testamentarie e delle ultime volontà del Conte di Caserta, nel 1934 [18]. In verità S.A.R. l Infante di Spagna Don Carlo, secondogenito del Conte di Caserta, apertasi la successione del padre, accettò l eredità dividendo con fratelli e sorelle oneri e utili; alla morte di S.A.R. l Infante di Spagna Don Carlo, nel 1949, la sua eredità fu accettata dal figlio S.A.R. l Infante di Spagna Don Alfonso, e, morto quest ultimo nel 1964, la sua eredità fu accettata a sua volta dal figlio S.A.R. l Infante di Spagna Don Carlos di Borbone Due Sicilie

La nullità colpirà ovviamente anche il presunto testamento di S.A.R. Don Ferdinando Pio, morto nel 1960, primogenito del Conte di Caserta, qualora contenga disposizioni esecutive dell'Atto di Cannes, come si dà ad intendere da parte di chi parla dell'esistenza di un tal documento. Per altro gli Statuti dell Ordine Costantiniano vigenti tra il 1900 ed il 1960 ammettevano la designazione testamentaria del Gran Maestro esclusivamente nel caso di mancanza di eredi legittimi, situazione mai verificatasi.

La nullità e inefficacia dell Atto di Cannes, e l impossibilità di qualsivoglia incidenza sulla successione nel Gran Magistero Costantiniano, sono confermate dal diritto canonico. Parlando della natura giuridica del Gran Magistero Costantiniano si è spiegato come esso, oggi come nel 1900, si caratterizzi quale ufficio ecclesiastico di erezione pontificia.

Il Gran Magistero Costantiniano, come ufficio ecclesiastico di erezione pontificia regolato dagli Statuti approvati dalla Santa Sede (le ultime modifiche vennero approvate nel 1919 da S.S. Benedetto XV), era nel 1900 rinunciabile in vita solo da colui che ne fosse pro tempore investito, unicamente per giusta causa, ed in favore del proprio primogenito maschio sano; eventuali rinuncie in favore di altri necessitavano dell approvazione del Papa, così come avvenne nel 1623, nel 1699, e nel 1759.

La pretesa "rinuncia" di Cannes non menzionava l'Ordine Costantiniano; non contemplava alcun ufficio, tanto meno ecclesiastico quale è il Gran Magistero Costantiniano; è attribuita a qualcuno che, non essendo investito dell ufficio di Gran Maestro, per il diritto canonico non avrebbe potuto rinunciare a tale ufficio; era priva di qualsiasi valore per il diritto canonico non essendo basata su di una causa giusta e proporzionata; non è stata mai accettata dal Sommo Pontefice.

Sulla base di tutti i rilievi giuridici effettuati, e conformemente a quanto previsto dagli Statuti dell Ordine Costantiniano vigenti nel 1960, deve considerarsi legittima la successione nel Gran Magistero Costantiniano di S.A.R. l Infante di Spagna Don Alfonso di Borbone Due Sicilie, avvenuta nel 1960, e, nel 1964, quella di suo figlio S.A.R. il Principe Don Carlos. A sua volta l'Ordine Costantiniano cosiddetto Napoletano non può essere lo stesso fondato dall'Imperatore Costantino il Grande. Semmai potrebbe considerarsi un altro Ordine Equestre, nuovo, distinto anche se omonimo dell'antico Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

4. Riconoscimenti e ipotesi di conciliazione.

La Santa Sede, che ha riconosciuto l Ordine Costantiniano con molteplici documenti dei quali il più importante è la Bolla Militantis Ecclesiae del 1718, sorta la disputa nel 1960, ha evitato di pronunciarsi esplicitamente sulla legittimità o meno delle reciproche pretese. In seguito, vagliando la fattispecie alla luce del diritto canonico, potrebbe pronunciarsi a favore dell uno o dell altro; oppure riconoscere l esistenza di due Ordini ormai distinti o di essere in presenza di due rami di uno stesso Ordine e venire incontro alle rispettive esigenze.

Il S. M. Ordine Costantiniano di San Giorgio concesso da S.A.R. l Infante di Spagna Principe Don Carlos di Borbone Due Sicilie, oltre al riconoscimento nell ordinamento canonico, gode in Spagna il riconoscimento nell ordinamento giuridico spagnolo.

Questo riconoscimento, iniziato per consuetudine, è stato espresso dal Capo dello Stato S.M. Re Juan Carlos I, il quale ha accolto e fatto proprio il responso unanime dei pareri ottenuti nel 1984 dal Ministero di Giustizia, dalla Real Accademia di Giurisprudenza e Legislazione, dal Ministero degli Affari Esteri, dall Istituto Salazar y Castro del Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche, e dal Consiglio di Stato, pareri che, largamente motivati, riconobbero S.A.R. il Principe Don Carlos come Capo della Casa di Borbone delle Due Sicilie e titolare del Gran Magistero del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Allo stesso Principe, nel 1994, S.M. Re Juan Carlos I ha concesso la dignità di Infante de España.

I tentativi di composizione della disputa non sono mai cessati. L esercizio del Gran Magistero è il problema più delicato, ma non il più importante, poiché tutti i Cavalieri Costantiniani dovrebbero mirare per prima cosa al rispetto delle finalità religiose, assistenziali e benefiche, ancora comuni alle due realtà equestri. Utile punto di partenza, onde evitare ulteriori eventuali divisioni, sarebbe da un lato il riconoscimento della nullità e conseguente inefficacia della "rinuncia" di Cannes e degli atti che la presuppongono; dall'altro l'accettazione di uno stato di fatto con l'impegno a trovare una soluzione di diritto.

[1] Filippo Musenga, Dissertazioni critiche su i passi più controversi, che si incontrano nella vita di Costantino il Grande coll'aggiunta di Appendici pertinenti al Sacro Real Ordine de' Cavalieri Costantiniani di San Giorgio, V. Flauto Impressore dell'Ordine Costantiniano, Napoli 1770, pp. 269, 88-89.

[2] Francesco Malvezzo, Privilegi imperiali e confermazioni apostoliche a favore della Famiglia Angela Flavia Comnena come Gran Maestri della sagra Religione de Cavalieri Angelici Aureati Constantiniani sotto il titolo di San Giorgio, e regola di San Basilio quali si ritrovano tutti autentici in mano del Sig. Gio. Andrea Angelo Flavio Comneno Prencipe di Macedonia, Gran Maestro, Evangelista Deuchino, Venezia 1626, p. 207.

[3] Rivista Araldica (Rivista del Collegio Araldico) n. 11, nov. 1927, pp. 507-511.

[4] Filippo Musenga, Regole e Statuti del Sacro Militare Ordine Costantiniano di S. Giorgio, Vincenzo Flauto Impressore dell'Ordine Costantiniano, Napoli 1770, p. 26.

[5] Ernesto Ardizzoni, Della natura del S. M. Ordine Costantiniano di S Giorgio, Stab. Tip. Francesco Giannini & Figli, Napoli 1923, pp. 17-20.

[6] Giovanni Devoti, Ius Canonicum, G. Ferretti, Roma 1837, Tomo II, p. 215.

[7] Per il canone 145, § 1, C.I.C. 1917, "Officium ecclesiasticum lato sensu est quodlibet munus quod in spiritualem finem legitime exercetur; stricto autem sensu est munus ordinatione sive divina sive ecclesiastica stabiliter constitutum, ad normam sacrorum canonum conferendum, aliquam saltem secumferens participationem ecclesiasticae potestatis sive ordinis sive iurisdictionis", mentre in virtù di P.O. n. 20b, per ufficio ecclesiastico "intellegi debet quodlibet munus stabiliter collatum in finem spiritualem exercendum".

[8] Francisco Xav. Wernz e Petri Vidal nel 1928 spiegavano: "haud raro etiam Ordinibus minoribus vel maioribus initiatus, manifeste sequitur omnes irregulares etiam ex defectu vel aliis prohibitionibus canonicis a statu clericali exclusos indirecte ab officiis quoque ecclesiasticis saltem licite obtinendis arceri" (Ius Canonicum, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1928, Tomo II, pp. 217 ss.). Nicolaus Garcia, nel 1618, ammetteva che "ex privilegio apostolico beneficium laico conceditur" (De Beneficiis ecclesiasticis amplissimus et doctissimus tractatus, F. Prato, Venezia 1618, I, pp. 1 ss nn 28/35). Si tenga presente che ancora sotto il vigore del C.I.C. 1917 di regola ad ogni ufficio era legato un beneficio; per questo le norme che regolavano il conferimento e la perdita del beneficio valevano anche per regolare il conferimento e la perdita degli uffici ecclesiastici.

[9] Molte norme di diritto privato (per esempio nel campo del diritto di famiglia o delle successioni) sono di ordine pubblico, e pertanto non possono essere derogate dalle parti. Laddove le norme sono espressamente dichiarate inderogabili ci troviamo sempre, o quasi sempre, nel campo del diritto pubblico, cfr. Salvatore Foderaro, Manuale di Diritto Pubblico, Cedam, Padova, 1977, pp. 40-42; Maria Vita de Giorgi, I patti sulle successioni future, Casa Ed. E. Jovene, Napoli, 1976, p. 87, nota 29; cfr. Attilio Guarneri, Ordine Pubblico, in: Digesto delle Discipline Privatistiche, XIII, Utet, Torino, 1995, pp. 154 ss.

[10] Cfr. Giuseppe Castrone, Delle speciali caratteristiche dell Ordine Costantiniano, G. De Angelis e figlio, Napoli 1877, pp. 22-23 nota 31.

[11] Castrone, cit., pp. 70-71.

[12] Ettore Gallo, Il Gran Magistero del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Il Minotauro, Roma 2002, p. 65.

[13] Tale concetto venne recepito anche dal Memorandum del Ministro Nigra del 13 marzo 1861 ove si legge che il Gran Maestro di questo Ordine Militare religioso fu accidentalmente Sovrano di Napoli (Giovanni Maresca, Sull'Ordine Costantiniano di S. Giorgio, Rivista Araldica n. 2, feb. 1960, pp. 41-44).

[14] Gallo, cit., p. 63.

[15] Cfr. de Giorgi, cit., p. 92.

[16] Gallo, cit., pp.127-151, riproduce il verbale di consegna di testamento olografo del Conte di Caserta, redatto il 12 giugno 1934 presso il Consolato Generale d Italia a Nizza, ma non la parte finale del codicillo datato 24 (o 26) febbraio 1932, e la parte iniziale della lettera al figlio S.A.R. Don Ferdinando Pio datata 23 gennaio 1928.

[17] Con l Atto di transazione del 28 febbraio 1941 da una parte i Borbone rinunziarono ad una causa intentata dal Conte di Caserta contro lo Stato Italiano nel 1897 (per sentir dichiarare la nullità della vendita dei beni e diritti del Ducato di Castro e dello Stato di Ronciglione fatta dal Duca Ranuccio II Farnese nel 1649 a favore della Reverenda Camera Apostolica, nonché per sentir ordinare la restituzione di detti beni e diritti) e cedettero allo stesso la metà da Loro posseduta del Palazzo Farnese di Caprarola, con annesse costruzioni, terreni e mobili; dall'altra lo Stato Italiano accettò la rinunzia giudiziale delle controparti, nonché il rilascio e la definitiva cessione in favore dello Stato della metà dei suddetti beni, abbandonò la causa intentata dai Ministeri del Tesoro e delle Finanze nel 1909 nei confronti del Conte di Caserta (per sentir dichiarare l obbligo al rilascio definitivo, in favore del Demanio, del Palazzo Farnese di Caprarola), e indennizzò le controparti con 3 milioni di lire al lordo di un accantonamento per oneri di transazione. Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Roma: Ministero dell'Interno, Dir. Gen. Amministrazione Civile, Divisione II, Assistenza e Beneficenza Pubblica, 1940/42, Busta 111, 26093.2; Consiglio di Stato, Sez. III, già Finanze, Pareri, Adunanza 25.2.1941, n. di ruolo 276; Corte dei Conti, Decreti Ministro delle Finanze in uscita, 1941, Registro 5, fol. 295.

[18] Gallo, cit., p. 63.


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